Un mese fa, nel reparto di Ostetricia dell’ospedale Pertini di Roma, un neonato di tre giorni appena sarebbe morto soffocato dalla sua mamma che si è addormentata allattandolo.
Come agire per evitare tragedie come questa?
Il parto, non importa se naturale o cesareo, è un momento totalizzante e sfinente, che lascia la donna affaticata. La gioia di incontrare il proprio bambino può essere messa a dura prova dalle condizioni fisiche e mentali della madre dopo il parto. Cercare di risollevare l’animo con frasi tipo “partoriscono tutte” non è certamente di aiuto. Nessuna donna e nessuna madre, ma nessuna persona in generale, vuole sentirsi “come tutte”.
Il parto è un evento naturale, tuttavia nessun parto è uguale all’altro, e soprattutto nessuna donna è uguale all’altra.
Partorire non rende le donne delle supereroine, non dona poteri miracolosi e capacità di affrontare qualsiasi difficoltà. Partorire non rende immediatamente e automaticamente dispensatrici di coccole e cibo.
Il rooming in è una pratica importante e condivisibile, ma solo se la donna che ha appena partorito si sente in grado di occuparsi da subito del neonato.
L’allattamento al seno è prezioso, ma solo se la donna sente di poterlo affrontare con serenità e con l’accompagnamento giusto, senza dolore e difficoltà. specifichiamo anche che l’allattamento non è proprio una passeggiata, al di là della gioia che può dare.
Se i protocolli e le pratiche ospedaliere non possono essere personalizzati, andrebbero almeno valutati con una certa flessibilità, perché il problema non è il rooming in in sé, così come non lo è l’allattamento subito dopo il parto.
Il problema sono le posizioni ideologiche, le forzature, la mancata attenzione ai bisogni della donna.
Se non tieni il bambino vicino a te, se non lo allatti subito non sei una buona madre. Questo tipo di messaggio colpevolizzante pone la donna in una condizione di solitudine e incomprensione.
Finché non riconosceremo che l’istinto materno è un mito, non appartiene necessariamente a tutte le donne e a tutte le madri, e che ogni donna necessita di sostegno in questo delicato momento della sua vita, non usciremo da questo schema culturale che identifica il concetto di madre con quello di sacrificio.
L’accompagnamento deve cominciare molto prima del momento del parto. Il partner deve essere coinvolto in tutte le fasi della gravidanza, per sviluppare attenzione e sensibilità ai cambiamenti soprattutto psicologici che la segnano.
E gli deve essere data la possibilità di essere presente in ospedale accanto alla donna, per condividere anche i momenti di fatica e rispondere alle richieste di aiuto. Il discorso vale anche per altri familiari, che possano essere di sostegno alla madre.
Ma ci sono anche donne che non hanno la fortuna di avere un contesto familiare accudente, e queste dovrebbero trovare ad occuparsi di loro personale preparato, sensibile e attento, che non si limiti ad applicare il protocollo, ma sappia ascoltare.
Perché il problema più grande rimane la solitudine delle madri, che spesso, purtroppo, le accompagna anche nel ritorno a casa e nella ripresa della vita quotidiana, come se il bambino fosse solo “affar loro”.
Bisogna ripensare tutto il contesto dell’accompagnamento alla maternità, non relegandola ad affare privato, ma sostenendola come un evento sociale prezioso che necessita di strutture adeguate ed interventi incisivi a livello economico e politico.